Molestie sessuali sul lavoro: come reagire?
L’attualità di questi giorni ci offre lo spunto per poter affrontare nel nostro piccolo, uno degli argomenti da sempre più spinosi, tanto nell’ambito giudiziario, quanto in quello psicologico: le molestie sessuali sul luogo di lavoro. Il caso del produttore americano Weinstein e dei suoi ricatti nei confronti di giovani attrici, più o meno affermate, è infatti un’eco spaventosa di quanto però, in termini ovviamente più ristretti accade anche nel nostro paese, anche tra persone comuni.
Potrebbe essere la “scusa” per poter parlare del potere e del suo ruolo nei confronti delle donne, potrebbe essere la scusa per evitare le solite chiacchiere da bar ed affrontare seriamente il problema dei rapporti tra uomo e donna, senza cadere nella retorica delle donne che “usano il proprio corpo per avere dei vantaggi”.
Rientra infatti, tra le cause più comuni di mobbing, quella delle molestie sessuali, che non arrivano necessariamente o solo a contatti sessuali veri e propri, ma anche con insinuazioni o battutine sgradevoli. Azioni che vanno ad isolare la lavoratrice che si oppone a questi comportamenti bloccandone spesso anche i rapporti con i colleghi. E i casi di stupri che vengono effettuati anche nei posti di lavoro, anche per ottenere dei miglioramenti delle condizioni di lavoro, sono ormai in pericoloso aumento.
Il precariato ha infatti amplificato disparità e rafforzato la possibilità da parte di chi ha il potere di prendere a calci le vite, di buttare all’aria anni di studio e di cestinare passioni, sventolandoti sotto il naso il sogno di un contratto mentre consuma violenze quotidiane. Le molestie sessuali sul luogo di lavoro hanno interessato in Italia, secondo l’Istat, oltre un milione di donne. Sono poche, però, quelle che hanno denunciato il fatto perché difficile da provare o per paura di perdere il posto di lavoro, oltre che la faccia. Piuttosto si licenziano o chiedono il trasferimento di ufficio con qualche scusa. Eppure la molestia sessuale sul luogo di lavoro è un reato punito dalla legge.
Questa situazione non sfocia solo in problemi psicologici, ma può influire anche sull’impegno nell’attività lavorativa e sull’ambiente che circonda le vittime, dato che si tratta di una situazione difficile da dimostrare in molti casi. Le molestie sessuali sul posto di lavoro seguono di norma una sorta di schema fisso: n tutti i casi il molestatore conta sulla complicità del silenzio di una vittima psicologicamente indifesa. Infatti chi subisce la molestia solitamente è impreparata a difendersi al primo, inatteso attacco: la mancata reazione favorisce l’innescarsi di un’escalation, sottrarsi dalla quale risulta sempre più complicato. Le vittime appartengono a tutte le categorie professionali e a tutte le mansioni, sia quelle esecutive che quelle di grado direttivo. La molestia sessuale è un fenomeno che colpisce di preferenza donne considerate deboli: donne sole, con un handicap fisico, in periodo di prova, al primo impiego, in cerca di lavoro, o soltanto timide, timorose dei richiami del superiore. Si può trattare di fatti isolati, ma anche di esperienze che perdurano nel tempo.
La persona molestata perde la sua tranquillità e vive in un permanente stato di ansietà e insicurezza. Quasi sempre non sa con chi confidarsi. Di conseguenza, a lungo andare, insorgono forme di disagio psicologico, fino a presentare i sintomi delle patologie ansiogene, quali: insonnia, nervosismo, inappetenza, svogliatezza, disattenzione. Nei casi più gravi può insorgere depressione o PTSD (disturbo da stress post-traumatico). Possono emergere anche disturbi molto più gravi, sia di tipo psichiatrico che organico, ad esempio mania di persecuzione o disturbi psicotici veri e propri, oppure dimagrimento o malattie dell’apparato digerente.
Alcuni autori hanno addirittura parlato di ‘sabbie mobili’ per definire tale situazione, visto che una reazione della vittima non fa altro che peggiorare la sua posizione. Spesso la reputazione e la credibilità della persona vengono definitivamente compromesse. È fondamentale quindi non rimanere mai più senza parole, mai più senza risposte adeguate. La vittima, acquisendo la capacità di rispondere adeguatamente in qualsiasi circostanza, si sente più sicura di se stessa e nei rapporti interpersonali, ispirando rispetto e considerazione; in tal modo riesce a salvaguardare la sua dignità ed evita che gli attacchi costituiscano delle premesse per disturbi psicosomatici (l’aumento dell’autostima e della fiducia in se stessi risulta un ottimo immunizzante).
Una prima regola, già ricordata, consiste nel de-emozionare il conflitto, in modo da affrontarlo con lucidità e sangue freddo. La reazione immediata è quella più emotiva ed istintiva, magari la più sbagliata, poiché si rischia di fare il gioco dell’aggressore. Sarebbe molto utile cercare degli alleati, ma è forse la cosa più difficile. Infatti, non sempre i colleghi sono coraggiosi. Spesso impauriti si ritirano in disparte per evitare che il mobbing messo in atto nei confronti della vittima possa estendersi anche a loro. Spesso, nel mobbing trasversale, sono essi stessi i mobbers. È fondamentale non isolarsi, ma coltivare le relazioni sociali, frequentare gli amici, rinsaldare i rapporti familiari. Si può andare a cena fuori, fare una bella vacanza, o dedicarsi ad un hobby; insomma, tutto ciò che può costituire una utile valvola di sfogo è ben accetto. Inoltre per risolvere i problemi psicologici collegati alle molestie, discussi in precedenze è consigliabile una psicoterapia cognitivo-comportamentale.
Dott. Alessandro Centini
Psicologo-psicoterapeuta
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