Manicomi criminali: cosa è cambiato?
A 40 anni dalla chiusura dei manicomi criminali grazie alla legge 180 dello psichiatra Franco Basaglia, sono ancora molte le criticità e le difficoltà sia per le persone con problemi psichici sia per gli addetti ai lavori (psichiatri, psicologi, infermieri etc…). Prima di questa legge era in vigore una legge del 1904, emanata sotto il governo Giolitti, con la quale potevano essere internate nei manicomi, in modo obbligatorio, tutte quelle persone che si ritenessero avere un’alienazione mentale di qualsiasi genere. In questo modo, di fatto, si poteva avere un controllo sociale dei cosiddetti “devianti”, di cui potevano far parte delinquenti, alcolisti, disabili, prostitute, omosessuali e malati di mente. In pratica tutti quelli che venivano considerati i reietti della società. Spesso il ricovero diventava a vita e gli internati perdevano tutti i loro diritti civili. Una delle pratiche più utilizzate era quella dell’elettroshock (sperimentata per la prima volta dal medico italiano Cerletti), perché naturalmente l’obiettivo di queste strutture non era di rieducazione, ma di repressione e isolamento. Quindi si entrava molto facilmente in manicomio, ma difficilmente se ne usciva vivi. Poi nell’epoca fascista il numero di internati aumenterà di un terzo (si arriverà a quasi 100mila internati) perché oltre a tutti i reietti della società si aggiungeranno i dissidenti e gli oppositori del regime.
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